Sembra più che mai necessario riflettere attentamente sulle solenni, ma nel contempo semplici e immediate parole utilizzate dalla Regina di Giordania (che certamente non ha alle sue spalle alcuna legittimazione democratica, alla “occidentale”) in occasione del suo intervento al cinquantesimo convegno organizzato a Cernobbio da The European House – Ambrosetti (TEHA) – laddove, tuttavia, non intervengono solo esponenti politici espressione dei governi democraticamente eletti – a proposito dello stato in cui versa l’Occidente democratico riguardo alle capacità di far valere, nei fatti, l’universalismo giuridico, che dovrebbe basarsi sul rispetto delle regole del diritto internazionale generalmente riconosciute.

I fatti drammatici sono noti e investono in pieno anche l’annosa questione israelo-palestinese ed è sembrato inevitabile che la Regina Rania li denunciasse nella loro catastrofica realtà, a seguito del diretto coinvolgimento del suo Stato. Lo ha fatto senza alcuna animosità antioccidentale, mai menzionando gli Stati Uniti d’America e semmai soffermandosi sulle organizzazioni internazionali e la stessa Unione Europea, ma anzi richiamando il senso dell’elaborazione del pensiero democratico e delle conquiste che sul piano dell’affermazione dei diritti e delle libertà dei singoli e dei popoli (a partire dalla promozione dell’ONU e della Dichiarazione dei diritti umani, alla conclusione dei secondo conflitto mondiale e della stessa decisività del Tribunale internazionale dell’Aja) vengono sicuramente considerai un modello di riferimento al quale tendere anywhere in the World. Dunque anche laddove, per una serie di ragioni storico-ambientali, i precetti democratici non sono ancor affermati e dove tuttavia la vita delle persone ha lo stesso valore e lo stesso significato “comunitario” di qualsiasi luogo dell’Occidente c.d. democratico.

Naturalmente, ascoltando quelle parole è venuto alla mente un bellissimo intervento di Valerio Onida di oltre quindici anni fa, allorché gli scenari non erano certamente questi e comunque il tema del significato e del valore dell’universalismo giuridico connesso all’affermazione del costituzionalismo occidentale mostrava egualmente la sua fragilità, lasciando irrisolte grandi questioni a partire dallo stato dei rapporti tra Palestina e Israele. L’intervento del Professore riguardava Giorgio La Pira, un grande pensatore, che ha avuto un suo peso specifico in Assemblea costituente, e anche dopo, più che altro sul terreno della elaborazione di una concezione universalistica dei diritti, fornendo oltretutto una lettura insuperabile dell’apertura internazionalistica contenuta nella Costituzione italiana, che posiziona il nostro Paese in una condizione di poter operare a pieno regime in favore della pace tra i popoli, anche a costo di rinunciare a parte della sua sovranità. Ricordando La Pira, Valerio Onida si spingeva a reclamare come nell’operare concreto delle istituzioni politiche, più che leader carismatici e sostenuti da un consenso elettorale significativo, per l’affermazione piena dei diritti umani e della pace tra i popoli servissero “profeti”. Queste le parole utilizzate nello scritto qui riportato (insieme alla riproduzione dell’intervento della Regina Rania): «Per questo abbiamo ancora bisogno di profeti, di quelli che, scriveva La Pira, “sono, in ultima analisi, i realisti veri”. Abbiamo bisogno di speranze, non utopiche, ma profetiche».

A.D’A.

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LA PIRA, I POPOLI, LA PACE

di Valerio Onida

Misurarsi con una figura come quella di Giorgio La Pira non  può non dare un senso di inadeguatezza, come davanti a qualcuno che non ci è estraneo, ma vive comunque in un’altra dimensione, in un luogo distante e più alto da cui sentiamo giungere qualcosa che ci tocca e ci giudica e ci affascina, ma che è comunque, appunto, inevitabilmente distante dalla nostra terrestre realtà.

Ecco perché le parole che meglio sembrano esprimere la sua posizione e il suo ruolo nel nostro mondo sono quelle di profeta e di profezia…