Post del Comitato Direttivo
L’oro americano luccica fino a un certo punto
Il ritiro di Biden dalle elezioni presidenziali americane avvenuto prima della formalizzazione della sua nomination da parte della Convention democratica di Chicago di agosto (che avrebbe sicuramente ottenuto, avendo vinto a mani basse le primarie), offre lo spunto per qualche considerazione su quella davvero peculiare kermesse che si concluderà il 5 novembre con la scelta dei 538 c.d. elettori presidenziali (il cui numero varia significativamente tra gli Stati delle Federazione). Sulla base di quelle indicazioni di voto, come è noto, sapremo se Trump ritornerà a guidare gli U.S., dopo averlo fatto tra il 2017 e il 2021, ovvero chi succederà a Biden, in sella sino al 20 gennaio 2025, nella carica di Presidente alla quale quest’ultimo ha annunciato che non parteciperà più, pur avendo ottenuto un largo consenso tra i democratici, in considerazione di uno stato di salute divenuto vieppiù precario anche in considerazione dell’età avanzata. Il Presidente in carica Biden è già stato Vicepresidente con Obama dal gennaio 2009 sino al gennaio 2017 e prima senatore del Delaware dal 1973 al 2009. A sua volta Trump ha prevalso per i repubblicani, come ricordato, nelle presidenziali del novembre 2016 in un appassionante testa a testa con Hillary Clinton (segretaria di Stato nell’amministrazione Obama tra il 2009 e il 2013 e già senatrice tra il 2009 e il 2013), a sua volta, moglie del Presidente Bill Clinton (dal 1993 al 2001, avendo sommato due mandati consecutivamente) riportando il suo partito a guidare il Paese e dopo che alla presidenza, tra gli anni 2001-2017, si erano succeduti, cumulando sempre due mandati, rispettivamente per i repubblicani J.W.Bush ( a sua volta figlio di George, Presidente dal 2001 al 2009) e per i democratici Obama.
Oggi naturalmente tutti guardano in vista dell’election day nel campo democratico e ci si interroga su chi sostituirà Biden nella corsa alla Casa Bianca ed è inevitabile che sia così. Pur tuttavia, proprio partendo da questa evenienza, si possono provare a fare un paio di considerazioni di respiro più istituzionale. La prima riguarda proprio i poteri della Convention democratica nella quale si riapre la scelta del candidato presidenziale allorché lo svolgimento delle primarie tra il 23 gennaio e l’8 giugno 2024, è stato concluso nel modo noto e che consente ai delegati “pledged” (3949 cui si aggiungono i c.d. super-delegati del partito) di appropriarsi della libertà della scelta che se non si fosse ritirato Biden sarebbe stata necessariamente in suo favore. Questa circostanza “obbligata” dal meccanismo delle primarie incentrato sulla scelta di una persona pareva davvero poco razionale a fronte della necessità di dover fare fronte ad un impedimento (non solo fisico) che avrebbe potuto compromettere in modo pressoché certo per quel partito l’esito decisivo del voto successivo alla nomination. Egualmente, forse, si potrebbe considerare non conseguente alla “regola” prima richiamata e comunque eccentrica ritenere non vincolante (dunque non dovuta) la scelta di Biden di far convergere i “suoi” delegati sulla persona da lui stesso indicata addirittura quale Vicepresidente, Kamala Harris. In sostanza, da un lato, si privilegia a tutti i costi l’indicazione iniziale ma poi a fronte del (non provocabile) ritiro di Biden la sua indicazione potrebbe non essere tenuta in considerazione, riaprendo i giochi interni al partito sebbene, grazie all’apertura di credito dei suoi notabili, schierati uno ad uno, pare si vada nella direzione indicata dallo stesso Biden. Ma potrebbe anche non andare così alla Convention democratica, a quanto è dato sapere e se si resta alle regole interne di quel partito. Prima l’esaltazione del “capo” costi quel che costi, una volta “caduto” il capo sia pure per una scelta volontaria, si ricomincia da capo, e quel che è stato fatto perde ogni valore. Se poi guardiamo alla biografia di Biden e al “duello” con Trump il quale ovviamente resta saldamente sulla scena (in buona salute ma pur sempre a 78 anni) che adesso si interrompe ma che è andato avanti, come si sa, in forme persino drammatiche dal 2021 e se guardiamo ancor prima, agli anni duemila, tra Presidenti rieletti, a loro volta figli di ex Presidenti, candidate alle presidenziali mogli di ex Presidenti e altro ancora, ci si accorge che i due principali partiti americani, grandi collettori di finanziamenti giganteschi al momento debito, presentano una classe politica sclerotizzata e che davvero la ventata di aria fresca che si pensava potesse aver prodotto la vittoria per i democratici di Obama è stata subito ricacciata indietro. E siamo ancora qui a sperare che la democrazia americana si riallacci alla sua storia e non si trasformi in una vasta area dove il sogno che si realizza è solo quello dei figli dei ricchi affaristi cultori dell’egoismo sociale e di qualche “stangata” ben riuscita!
Riassumendo: ogni sistema, compreso quello “luccicante” del testa a testa presidenziale americano, conosce i suoi bizantinismi e la sua retorica del “monarca elettivo”, e come ogni sistema politico, a prescindere dall’offerta effettivamente presentata al corpo elettorale, deve fare i conti con un evidente nepotismo di chi, avendo avuto e gestito il potere, ambirebbe a trattenerlo dappresso.
Non solo dunque nella nostra malandata Repubblica!