Riflessioni pensando a Valerio
La dissoluzione di un modello: sul primo turno delle elezioni legislative francesi
Alessandro Lauro*
Il 9 giugno, con una scelta considerata da molti sorprendente, il Presidente francese Emmanuel Macron ha dissolto l’Assemblea Nazionale, convocando gli elettori alle urne il 30 giugno 2024 (ieri), con possibile prolungamento nella giornata del 7 luglio per il secondo turno di votazioni che consente di individuare i vincitori dei singoli collegi uninominali in cui si articola il territorio nazionale.
E così ieri, 30 giugno, è arrivato il primo responso dalle urne: con un’affluenza in assoluta controtendenza rispetto agli appuntamenti più recenti, il 66,71% degli elettori ha compiuto la propria scelta, con un incremento del 19% rispetto alle elezioni precedenti. Il dato però più significativo è che più di 10 milioni di francesi hanno votato per un candidato del Rassemblement National (RN), il partito guidato da Marine Le Pen ed erede di quello fondato da suo padre, il Front National, storicamente considerato di estrema destra. In seconda posizione arriva il Nouveau Front Populaire, la coalizione dei partiti di sinistra che mette insieme La France Insoumise, il partito socialista, i verdi ed il partito comunista francese. In terza posizione il campo del Presidente Macron, la coalizione Ensemble, costituita dal partito presidenziale e da altre due forze di centrodestra (i Mo-Dem e Horizons). In quarta posizione, con un risultato estremamente deludente, Les Républicains, che rischiano di avere una ridottissima delegazione parlamentare.
Trattandosi di un sistema a doppio turno, la stragrande maggioranza dei seggi (501) resta in palio per il nuovo round che si terrà domenica 7 luglio, sebbene l’affluenza record abbia consegnato già 76 nuovi deputati, eletti al primo turno superando la maggioranza assoluta.
In base ai risultati dello scrutinio di ieri, in 297 collegi (alcuni dei quali, appunto, già vinti) il RN si ritrova in testa. La maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale è pari a 289 seggi, sicché, ove la tendenza del primo turno fosse confermata, il RN potrebbe “impadronirsi” del Palais Bourbon e quindi del Governo, aprendo alla quarta coabitazione dal 1958 e imponendo il giovane Jordan Bardella, delfino politico di Marine Le Pen, come Primo ministro.
Il risultato non è scontato ed è di difficile predizione: almeno 5 circoscrizioni avranno una competizione “quadrangolare” al secondo turno, più di 300 saranno “triangolari”, i restanti collegi si comporteranno invece come terre di ballottaggi.
La situazione variegata deriva dal fatto che, in base alla legge elettorale, accedono al secondo turno, a prescindere dal risultato, i primi due candidati. I successivi sono ammessi purché abbiano ottenuto una cifra elettorale pari al 12,5% degli iscritti (e non dei suffragi).
Ma non finisce qui: fino alle ore 18 di domani (martedì 2 luglio) i candidati hanno la possibilità di ritirarsi. E qui si apre la grande strategia di queste ore: il désistement, ovvero la rinuncia a competere da parte dei candidati arrivati terzi o quarti. Questa rinuncia ha l’effetto (teorico in realtà, da dimostrare in concreto) di creare una riserva di voti per i candidati in prima e seconda posizione. Tale strategia è storicamente connessa alla conventio ad excludendum che colpisce il RN: il cd. front républicain fa in modo che un solo candidato si confronti con chi è supportato dal RN, così da favorire la convergenza di voti sul primo a discapito del secondo.
Nella serata di ieri, il leader de La France Insoumise (LFI), Jean-Luc Mélenchon, ha chiesto ai candidati del Nouveau Front Populaire di ritirarsi se arrivati in terza posizione, in presenza di un candidato RN nelle prime due. Il Primo Ministro Attal ha fatto lo stesso per i candidati del partito presidenziale Renaissance, anche se all’interno del campo presidenziale vi sono voci più sfumate che chiedono di non ritirarsi ove vi siano un candidato del RN e uno de LFI, considerata estrema sinistra intollerabile quanto l’estrema destra. Les Républicains, eredi della tradizione gollista di destra e ridotti ai minimi termini, non hanno invece dato indicazioni di voto.
Vi è una sola certezza: la maggioranza (relativa) collegata al Presidente Macron si ritroverà sicuramente minoranza e all’orizzonte è difficile intravedere situazioni di reale chiarificazione politico-istituzionale. Se anche il RN non ottenesse la maggioranza assoluta – o non fosse in grado di crearla agevolmente, magari con l’apporto di qualche eletto indipendente: anche questo resta à voir – una coalizione maggioritaria che unisca l’estrema sinistra ai neogollisti, passando per il campo della cd. Macronia resta assai difficile da concepire.
Se anche il Nouveau Front Populaire – e in particolare il partito maggioritario all’interno di questo, ovvero LFI – si dichiara pronto a ritirare i propri candidati in alcuni collegi (ammesso che gli elettori siano pronti a seguire l’indicazione), arrivando a favorire l’elezione di un personale politico che ha duramente avversato in questi anni (come i ministri uscenti o ex ministri di Macron), pare assai difficile che si riesca a creare una “maggioranza di progetto e di idee”, come l’ha chiamata il Primo ministro Attal. E, numeri alla mano, non sembra esistere margine per una coalizione “moderata” che escluda al tempo stesso il RN e LFI.
Il nodo cruciale è che l’Assemblea che uscirà dalle urne il 7 luglio dovrà essere sopportata dal Presidente Macron per almeno un anno: così vuole l’art. 12 della Costituzione del 1958. Considerato che la nuova elezione presidenziale (senza Macron, che ha già servito due mandati) si terrà nel 2027, ci sarebbe margine per una nuova dissoluzione prima che – se calcolata strategicamente – potrebbe vincolare anche il nuovo Presidente (o la nuova Presidente) entrante.
Vedremo durante quest’anno cosa si inventeranno al di là delle Alpi, se i costumi dei “cugini” italiani offriranno qualche spunto (a partire dai governi tecnici) e come muteranno gli equilibri istituzionali di un modello semipresidenziale a lungo celebrato come immagine di stabilità, anche da appassionate voci riformistiche del nostro Paese.
Le vicende recenti – in realtà, sin dalle elezioni legislative del giugno 2022 – offrono comunque l’occasione di riflettere sulla discrepanza che esiste fra il tessuto di base di un ordinamento, costituito dalle sue regole costituzionali, ed il loro concreto inveramento storico, determinato dall’atteggiarsi dei partiti politici e, più in generale, da ciò che vive la società. Se il secondo può mutare, il primo è destinato a restare e, prima o poi, a riemergere.
La Costituzione francese del 1958 ha consacrato un sistema a base parlamentare, chiaramente dualista, che è stato soffocato e deviato con una torsione presidenzialistica, favorita dalla riforma del mandato presidenziale (ridotto da sette a cinque anni, per farlo sostanzialmente coincidere con la legislatura) e con l’inversione del calendario elettorale (si noti: non presente in Costituzione, ma in una legge organica), che fa precedere l’elezione del Capo dello Stato rispetto a quella dell’Assemblea Nazionale, sfruttando l’effetto della prima sulla seconda, così da garantire al Presidente una maggioranza politica omogenea.
Nel 2022 così non è stato, obbligando Macron a creare un governo (anzi, tre governi) di minoranza, che hanno portato avanti un programma politico in maniera estremamente faticosa, spesso forzando in maniera inedita le procedure parlamentari e ottenendo comunque pochi risultati e scarso consenso (come hanno dimostrato le elezioni europee prima e ora le legislative).
Lo scioglimento anticipato voluto dal Presidente Macron dopo l’esito disastroso delle elezioni europee per il suo campo è stato ampiamente criticato, denunciato come un “salto nel vuoto”. Orbene, il giudizio di chi scrive è diverso. Non si può infatti non sottolineare – forse un po’ asetticamente, ma secondo una prospettiva costituzionalistica – che il Presidente ha constatato un grave deficit di rappresentatività dell’Assemblea Nazionale, deficit che aggravava le difficoltà di funzionamento dovute all’assenza di una maggioranza chiara o di accordi precisi in grado di rendere efficacemente operativo il governo di minoranza. Con tutte le proporzioni del caso, i principi alla base non sono molto dissimili dallo scioglimento voluto in Italia dal Presidente Scalfaro nel 1994.
Ridare la parola agli elettori è stata una scelta puramente democratica e la forte adesione all’invito a votare dimostra che il popolo intendeva esprimersi e, peraltro, intendeva mutare i rapporti di forza.
Difficile a dirsi cosa riserva il futuro. Certo è che una coabitazione schietta, che metta alla prova le capacità di governo del RN, arginato dal potere presidenziale, dal Senato e dal Conseil constitutionnel, è in ipotesi una soluzione preferibile rispetto ad un’altra legislatura confusa e senza direzione. Questo scenario, con un partito di maggioranza relativa messo all’angolo, rischia di consolidare ancora di più i consensi del RN e non si sa se la diga del fronte repubblicano sarà abbastanza resistente da impedire in eterno che piene impetuose la sfondino.
Per i risultati del primo turno e le infografiche sul secondo: https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2024/07/01/la-carte-des-resultats-des-legislatives-au-premier-tour-et-le-tableau-des-candidats-qualifies_6245574_4355771.html
* Università Ca’ Foscari di Venezia – Université Paris Panthéon Assas