Il filo rosso

Riflessioni pensando a Valerio

La convergenza politica nell’elezione parlamentare dei giudici costituzionali: quando la maggioranza si compatta e prescinde dal dialogo con le opposizioni

Ottobre 6, 2024

Marco Ladu *

Martedì 8 ottobre 2024, alle ore 12.30, è convocato il Parlamento in seduta comune per l’elezione di un giudice della Corte costituzionale. La notizia non è passata inosservata ed è presto divenuta oggetto dell’ennesima querelle che si sta consumando in questi giorni tra le principali forze politiche del Paese e che sta trovando sfogo, come ormai di consueto, sul piano mediatico.

Vi sarebbe stata, infatti, una fuga di notizie riguardante il seguente messaggio indirizzato via WhatsApp ai parlamentari di Fratelli d’Italia e a qualche esponente di Forza Italia: «Attenzione, martedì 8 ottobre, ore 12.30, indispensabile la presenza di tutti al voto per la Corte costituzionale. Eventuali missioni vanno rimandate o annullate».

Il messaggio rivelerebbe l’esistenza di un “blitz” ordito dalla maggioranza e finalizzato a giungere all’elezione del giudice in questione senza il coinvolgimento delle opposizioni, il che potrebbe diventare realtà, numeri alla mano (considerato che la maggioranza richiesta è di 363 voti), solo sfruttando ogni singolo voto dei parlamentari che si rispecchiano nella coalizione di governo, ai quali – al netto di qualche “scostamento” dovuto allo scrutinio segreto – dovrebbero necessariamente aggiungersi alcuni voti provenienti da altre forze politiche. E, in questo caso, il pensiero (forse malevolo, ma tale) va subito ai parlamentari di Azione e Italia Viva, i cui leader si sono detti disponibili, sin dalla nascita dell’attuale Governo, a contribuire, ove necessario, alla costruzione di maggioranze parlamentari più ampie. Nel caso di Matteo Renzi, inoltre, l’interesse potrebbe considerarsi accresciuto se si tiene conto del fatto che il candidato di punta per l’elezione di martedì (così si “vocifera”) sia un giurista “vicino” a Giorgia Meloni, ritenuto uno degli autori del disegno di legge costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, un tema che, come è noto, sta particolarmente a cuore al leader di Italia Viva (il quale, nell’agosto dello scorso anno, aveva persino anticipato il Governo depositando un proprio progetto di riforma costituzionale sul c.d. premierato).

Guardando all’elezione in programma, si tenga conto del fatto che quello di martedì sarà l’ottavo scrutinio, il che fa riemergere le difficoltà legate a trovare un delicato e complesso accordo dovuto agli elevati quorum richiesti per l’elezione dei giudici costituzionali (due terzi degli aventi diritto al voto per i primi tre scrutini e tre quinti per quelli successivi). Non si tratta di una questione nuova, tutt’altro: basti qui ricordare il messaggio inviato alle Camere il 7 novembre 1991, a norma dell’art. 87, c. 2 Cost., dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga per comprendere l’importanza di dover procedere tempestivamente all’elezione parlamentare dei giudici della Corte costituzionale.

E, a ben vedere, il problema di questi tempi diviene molto serio, se si considera che, tra non molto, scadranno altri tre giudici della Corte di derivazione parlamentare, il che conduce ad un inevitabile “stato di allerta” delle opposizioni, da qualche tempo preoccupate che l’attuale maggioranza – stretta attorno alla figura della Presidente del Consiglio Meloni – possa intestarsi la scelta di ben quattro giudici destinati a ricoprire la carica per i successivi nove anni (sul totale di quindici giudici che compongono il collegio ai sensi dell’art. 135 Cost.).

La partita, per utilizzare un’espressione calcistica, è ormai dirimente e c’è chi, tuttavia, preferisce tentare il gioco da solista, rischiando però di ritrovarsi da solo. Si tratta, infatti, di una strategia rischiosa, ma pur sempre di una strategia, al cui esito bisogna soltanto sperare di non ripiombare in lunghi periodi di attività di una Corte costituzionale “menomata”, nell’attesa della fissazione di nuovi scrutini.

Al di là delle metafore, sul piano costituzionale mi pare che le vicende di questi giorni, e che qui si sono sinteticamente richiamate, facciano emergere almeno due ordini di problemi.

Il primo ordine di problemi attiene al rispetto del principio di maggioranza, il quale è, e resta fino a prova contraria, uno dei fondamenti del nostro sistema giuridico. Chi detiene la maggioranza – quale che sia – ha il diritto di tentare di affermare l’indirizzo politico che ritiene di dover perseguire, essendo dotata di poteri e strumenti che gli consentono di orientare le decisioni e di far approvare, nelle opportune sedi istituzionali, tutti quei provvedimenti che reputa dirimenti per la propria azione politica. Tra questi, nulla vieta che siano annoverate le nomine istituzionali, ivi compresa l’individuazione parlamentare dei giudici della Corte costituzionale, naturalmente nel rispetto dei vincoli posti dalle norme costituzionali, fra tutti il rispetto dei quorum per la validità dell’elezione dei giudici della Corte. Sotto questo punto di vista, sia consentito sottolineare come appaia molto debole l’argomentazione di chi in queste ore sta sostenendo, rispetto all’elezione di martedì, che la maggioranza guidata da Giorgia Meloni abbia delle istituzioni repubblicane una “concezione proprietaria” (espressione oggi in voga e forse non sempre meditata) e che, in risposta ad essa, ci si debba mobilitare “a difesa delle garanzie democratiche”. Senza entrare nel merito della contesa politica (e quindi delle ragioni ideali che muovono i diversi leader), da “tecnici” bisogna però osservare che oggi la garanzia democratica è rappresentata dal raggiungimento della maggioranza prescritta: nel caso di martedì, in altre parole, la decisione sarebbe pienamente garantita se assunta da almeno 363 parlamentari della Repubblica.

Un secondo ordine di problemi, strettamente legato al primo, richiama sì la “concezione” delle istituzioni della Repubblica, ma, ancor prima, l’idea dei rapporti tra maggioranza e opposizione che devono caratterizzare il sistema politico che condiziona l’intero sistema di governo. A tal proposito, infatti, vi sono atti parlamentari che, per la loro rilevanza istituzionale, richiedono una convergenza politica decisamente più ampia rispetto alle ordinarie dinamiche di maggioranza-opposizione. L’elezione dei giudici costituzionali ne rappresenta un chiaro esempio che però, ancora una volta, è risolto dall’adozione di maggioranze qualificate niente affatto banali: sono esse ad oggi, in assenza di riforme sul punto, a rappresentare l’ampiezza della convergenza politica richiamata. Semmai, nei casi in cui attraverso il voto politico emergano maggioranze di una certa consistenza, dovrebbero essere le stesse forze politiche ad attivarsi alla spontanea ricerca di un dialogo che coinvolga anche le opposizioni, sul presupposto che si possa dare consistenza ad un indirizzo politico “superior” (così lo ha definito, in più occasioni, Antonio D’Andrea), il quale postula un dialogo tra i partiti, che attualmente è agli stessi rimesso senza che lo si possa imporre per via normativa!

Tutto quanto insieme considerato, è innegabile che la posta in gioco – rappresentata dall’elezione parlamentare dei giudici costituzionali nella presente XIX legislatura – si alzi in misura proporzionale all’importanza del ruolo e della funzione attribuiti ai giudici della Corte costituzionale. D’altra parte, come osservava Valerio Onida già nel 1993, «C’è però un fronte sul quale la Corte si trova, lo si voglia o no, […] esposta in prima fila come protagonista dei processi di riforma: ed è quello dei giudizi di ammissibilità il cui esito consente o preclude le consultazioni referendarie, cui non da oggi si guarda come elemento di pressione e di spinta verso riforme che il sistema politico stenta a realizzare, talora (come nel caso delle riforme elettorali) perché percepite come suscettibili di cambiare gli stessi presupposti degli attuali rapporti di forza».

Non è infrequente che le parole di Onida scritte anche decenni or sono restino di incredibile attualità: si può forse dubitare che di questi tempi – in cui si cerca di attuare l’autonomia differenziata, di riformare la magistratura, di andare verso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, di ridefinire il sistema elettorale – la Corte costituzionale sarà chiamata, ancora una volta, a svolgere il delicato compito di armonizzare gli ambiti di tutela costituzionale e di bilanciare, con oculatezza ed estremo rigore giuridico, gli interessi in gioco?

Della natura “politica” di taluni di questi interessi, che piaccia o meno, non occorre dubitare troppo, ma soltanto prendere atto.

 

* Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico, Università degli Studi “Roma Tre”.

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