Il filo rosso

Riflessioni pensando a Valerio

Il Premierato: risposta sbagliata e pericolosa ad una questione mal posta

Luglio 2, 2024

Mario Gorlani*

 

In una relazione presentata nel giugno 2005 a Milano al convegno di studi “Città dell’Uomo”, Valerio Onida, interrogandosi sul tema delle riforme costituzionali, scriveva che resta imprescindibile la difesa della forma di governo parlamentare e della sua flessibilità, contro la tendenza a voler «introdurre un sistema massimamente rigido, nell’illusione di risolvere per via di ingegneria costituzionale i problemi politici di coesione e di efficienza della maggioranza». Si discuteva, all’epoca, della riforma della Costituzione promossa dal Governo Berlusconi (poi sconfitta nel referendum del 25-26 giugno 2006) e Onida metteva in guardia dal fatto che «non avremmo nemmeno più una maggioranza che esprime un suo leader, ma un leader immediatamente investito del potere e che controlla e domina la “sua” maggioranza. L’esito sarebbe un sistema di massima concentrazione del potere politico, in cui la scelta degli elettori tenderebbe a ridursi essenzialmente ad una delega quinquennale a favore di una sola persona. In tal modo si esalterebbero quelle tendenze alla personalizzazione estrema e alla ipersemplificazione dei circuiti decisionali, che l’esperienza recente mostra già pericolosamente in atto, impoverendo la democrazia e compromettendo l’equilibrio del sistema di governo». E concludeva ribadendo il «rifiuto di qualsiasi disciplina costituzionale o elettorale che tenda a conferire al Presidente del Consiglio, non già una posizione di guida e di preminenza nell’esecutivo, perché questa gli spetta, già sulla base dell’attuale art. 95 della Costituzione, ma una legittimazione rappresentativa autonoma e prevalente rispetto a quella stessa della maggioranza che sostiene il Governo».

Sembrano parole scritte oggi, a commento della riforma del premierato appena approvata in prima lettura dal Senato.

Esse ci consentono di riportare al centro del dibattito alcuni punti fermi, da cui non si può prescindere nell’affrontare il tema delle riforme costituzionali che riguardano la forma di governo.

In primo luogo, l’irrinunciabile difesa della democrazia parlamentare, basata sull’equilibrio tra i poteri e su un ruolo centrale e non meramente servente e strumentale delle Camere rappresentative rispetto al Governo.

In secondo luogo, il rifiuto di forme semplificate e personalistiche, che si risolvano in una sorta di delega in bianco ad un leader, libero di governare per cinque anni e di farsi giudicare dagli elettori al termine della legislatura, quasi senza confronto con il Parlamento.

In terzo luogo, la difesa della flessibilità della forma di governo, che deve mantenere la capacità di recepire e dar voce al mutevole pluralismo del corpo elettorale, e che deve saper costruire la stabilità degli esecutivi non sulla rigidità dei meccanismi istituzionali ma sull’aggregazione del consenso tra le forze politiche e sulla loro responsabilizzazione nel rapporto con il Governo, difendendo al contempo l’autonomia e il fondamentale ruolo degli organi di garanzia, a partire dalla Presidenza della Repubblica.

Evocando la falsa suggestione del modello comunale, il premierato dà forma a pericolose tendenze in atto da tempo – quelle appunto alla personalizzazione della rappresentanza politica e alla disintermediazione del rapporto tra vertice dell’esecutivo e corpo elettorale – che, invece, devono essere contrastate e non assecondate, nel nome della difesa della democrazia parlamentare.

Ciò che sembra sfuggire all’attuale maggioranza è che l’organizzazione costituzionale dello Stato non si esaurisce nella sola immediata individuazione del vertice del Governo (non è così neppure nelle consolidate democrazie occidentali di stampo presidenziale) e che è fisiologica una visione dialettica del confronto tra gli indirizzi politici: chi governa esprime una linea politica che può benissimo essere contrastata e contraddetta da altri soggetti politici e certamente controllata dai c.d. poteri di garanzia che non sono da considerarsi “nemici” della maggioranza che governa ma fattori decisivi per il funzionamento di un ordinamento democratico.

*Professore ordinario di Diritto pubblico, Università degli Studi di Brescia

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