Il filo rosso

Riflessioni pensando a Valerio

Il coraggio di essere davvero europei: quel che resta da fare

Settembre 1, 2024

Nadia Maccabiani*

Le recenti elezioni del 6-9 giugno per il rinnovo del parlamento europeo offrono lo spunto per tornare su alcuni paradossi che affliggono l’Unione Europea, denunciati – sia pure in tempi diversi – da due illustri studiosi, il prof. Valerio Onida e il prof. Beniamino Caravita.

Il prof. Onida, con consueta lucidità, ha posto in evidenza, sin dagli anni ’90, un primo paradosso, sotteso alle dinamiche di funzionamento di un’entità sui generis, qual è l’Unione Europea: «L’unificazione presuppone il superamento definitivo della figura statale che caratterizza da almeno due secoli, ma anche da più tempo, lo sviluppo costituzionale del nostro continente: quella dello Stato-nazione. E però il processo di unificazione è ancora saldamente nelle mani di Stati che sono gli eredi e gli interpreti consolidati proprio del modello dello Stato-nazione» (cfr. Quale federalismo per l’Europa, in G. Zagrebelsky (a cura di), Il federalismo e la democrazia europea, Firenze, 1994, p. 57). A questo primo paradosso se ne aggiunge un altro, più di recente sottolineato dal prof. Caravita, quello tra Europa reale e percepita: «l’Europa “reale” è diversa, più profonda, più presente – e, in realtà, migliore, dell’Europea “percepita”, sia sotto il profilo della qualità, che sotto quello della quantità» (cfr. Quanta Europea c’è in Europa? Profili di diritto costituzionale europeo, Torino, 2015, p. 7). Entrambi questi paradossi sono strettamente collegati, in rapporto di causa-effetto, oltre che aver operato da leva per altri paradossi, lungo il processo di integrazione europea. Se ne possono rammentare alcuni. A livello “orizzontale” ed organizzativo, la tensione tra le istituzioni europee (i due Consigli da un lato, il Parlamento Europeo e la Commissione Europea, dall’altro), guidate da differenti logiche di funzionamento e quindi diversi “interessi”; il conseguente oscillare e la conseguente tensione tra metodo intergovernativo e comunitario; la difficoltà di configurazione di una “forma di governo” europea che ha ceduto il campo a più flessibili (quanto spesso poco trasparenti) forme di governance, adattabili case by case.  A livello “verticale” e dinamico, possono rammentarsi sia l’integrazione di natura funzionale (l’Europa pas à pas della Dichiarazione Schuman) che il connesso frequente standstill rispetto a questioni “politicamente sensibili”, con specifico riguardo alle politiche economiche e sociali ed alla tanto inneggiata e mai realizzata “Unione politica”.

Nella prassi del quotidiano funzionamento unionale, tali paradossi rappresentano la ratio dell’atteggiamento “opportunistico” assunto dagli Stati membri rispetto alle policies europee: di costante insoddisfazione verso un’Unione che o chiede troppo (ad es. in materia di politiche economiche e di bilancio) o fa troppo poco (ad es. in materia di immigrazione e difesa).

I capi di Stato e di Governo assumono spesso un atteggiamento “ambivalente”, arroccati in dinamiche domestiche, volte a rendere protagonista lo “Stato-nazione”, con la sua origine identitaria (di cui al paradosso sottolineato da Onida), facendo quindi prevalere strategie di politica interna, piuttosto che strategie euro-unitarie di ampio respiro. Questa condotta si traduce quindi nell’evidenziare quel che l’Europa “chiede”, per giustificare misure statali che risultano impopolari; e raramente nel valorizzare quel che l’Europa “offre”, di aggiuntivo rispetto alle limitate capacità degli Stati nazionali, da qui il gap tra Europea reale e percepita (di cui al paradosso descritto dal Caravita).

Sono proprio questi i paradossi che tornano di attualità nella posizione assunta dal Governo italiano rispetto all’investitura della Presidente della nuova Commissione europea. E’ la prima volta che un Capo di governo si astiene, nel Consiglio europeo, mentre il suo partito esprime voto contrario, nel Parlamento europeo, rispetto alla designazione della Presidente della Commissione europea. Benché Giorgia Meloni si sia spesa per giustificare tale comportamento come conseguenza dell’insoddisfazione verso il programma enunciato da Ursula von der Leyen in materia di Green Deal e di considerazione degli investimenti in tema di difesa ai fini del calcolo del deficit, è di palmare evidenza il calcolo politico-elettorale sotteso, rispetto alla posizione assunta da uno degli alleati di governo (Lega Nord).

Sulla scia di questa traiettoria non può stupire, ed è anzi “figlio immediato” dei richiamati paradossi, il contributo che i Governi danno per alimentare il descritto andamento “distonico” dell’integrazione europea. In merito, i governi nazionali tendenzialmente poco fanno per mettere adeguatamente sotto la luce dei riflettori e spiegare alla loro cittadinanza, in concreto e in termini a tutti comprensibili, non solo quanta parte di politiche siano di provenienza unionale, ma altresì quanta e quale parte di esse impatta o ha impattato positivamente sul loro quotidiano. Insomma, il “valore aggiunto” dell’essere europei, rispetto al procedere “in solitario”. Ed è così che, Brexit a parte, per esemplificazione casistica rispetto al nostro Paese, l’European Recovery and Resilience Facility, nel suo precipitato italiano conosciuto come PNRR, viene spesso “ridotto” agli occhi del pubblico ad un sistema di procedure e controlli, evidenziando semmai i meriti del governo nazionale quando riesce ad “incassare” una nuova “rata”, anziché dare enfasi al fatto che siamo di fronte al primo strumento di solidarietà tra Stati, grazie al lavoro della Commissione von der Leyen, finanziato per la prima volta da debito comune. Ed è così, sempre per esemplificare, che la mancata ratifica italiana della modifica al Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), volta a consentire l’utilizzo dei fondi non solo per finalità di assistenza finanziaria agli Stati, ma anche alle banche, si è focalizzata, più che sulla spiegazione dei contenuti, sulle pretese esigenze di “difesa” contro la “troika”.

Insomma, le politiche europee sono tendenzialmente celate o misconosciute, lasciando trapelare solo la parte che ai Governi conviene per mantenere o rafforzare la legittimazione politica nazionale. Da ciò consegue altresì il paradosso ultimo e, se si vuole, più assurdo: quello di un’Unione europea divisa tra “europeisti” e “antieuropeisti”, anche all’interno dei Consigli, ove siedono Capi di Stato e Governo o rappresentanti di rango ministeriale.  Se così è, come pare, si possono senz’altro denunciare varie “mancanze” nel processo di integrazione europea, tra cui l’assenza di un demos europeo, quindi di partiti europei, quindi di una adeguata legittimazione democratica delle istituzioni europee. Tutti argomenti senz’altro fondati, laddove si voglia mantenere come benchmark l’organizzazione statale nazionale, ma che omettono di assegnare il giusto rilievo all’importanza della comunicazione che passa attraverso Governi che, per esigenze elettorali domestiche, “tirano per la giacchetta” l’UE a loro piacimento. Comunicazione tanto più efficace e quindi pericolosa – per il completamento del disegno europeo – a fronte di forme di governo che, benché parlamentari (nella maggior parte degli Stati europei), si rivelano sempre più leaderistiche, sulla base di un “dialogo” diretto tra il “Capo” e l’elettorato, per di più immediato, grazie ai social networks.

Se, come scriveva Caravita, c’è molta più Europa in Europa di quanta ne immaginiamo, non solo per condivisione di valori, ma anche perché la maggior parte delle politiche reca necessariamente l’impronta europea; se, l’Eurobarometro evidenzia la tenuta tra i cittadini del convincimento che l’appartenenza all’UE abbia apportato benefici al loro Paese (cfr. https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/3272); se si registra un incremento, lieve ma costante, dell’affluenza alle urne degli ultimi vent’anni per l’elezione del parlamento europeo (l’affluenza alle urne nel 2024 si attesta al 51,05%); se, insomma, così è, la “europeizzazione” che manca siede principalmente nei “ranghi alti”, tra Capi di Stato, di Governo e ministri, pronti a “vendere” l’acquis communautaire per tornaconti elettorali nazionali. Eppure, come sottolineava Onida, gli Stati sono ormai «troppo piccoli rispetto alle dimensioni dei problemi tecnici ed economici da governare», pertanto destinati a perdere legittimità nel confronto con le istituzioni europee, quantomeno in termini di efficacia d’azione. Si tratta allora di trovare un “istituto”, di natura giuridica ma con dinamica politica, che, grazie a questa sua duplice natura, consenta di uscire dai paradossi denunciati in esordio, al fine di conciliare le forti identità nazionali con una costruzione unionale che comporta invece “cedimenti” sul terreno domestico. Si tratta quindi, per tornare a Caravita, di comprendere quanta diversità l’Europa può sopportare rimanendo tuttavia unita. Ed è qui che, entrambi gli importanti Studiosi, concludono – nuovamente in modo concorde, sia pure a distanza di tempo – intravedendo nel principio di sussidiarietà il modello funzionale a conciliare diversità e unità, anche rispetto alla costruzione europea (V. Onida, cit., p. 65; B. Caravita, Trasformazioni costituzionali nel federalizing process europeo, Napoli, 2012, p. 145). Ed è qui che si apre un nuovo capitolo, volto a valorizzare un principio che i Trattati prevedono e che tuttavia non definiscono in modo efficace. Non sarebbe forse il caso, anche per fare uscire alla “luce del sole” molti contatti tra Governi nazionali che scavalcano le sedi ufficiali, di consentire anche ai Consigli di attivare una sorta di early warning, laddove una certa soglia di consensi sia raggiunta? Questo potrebbe aiutare a risolvere i denunciati paradossi, evitando che i Governi annacquino successivamente politiche europee mal digerite sin dall’inizio, realizzando così il più volte decantato “doing less more efficiently” (cfr. il Rapporto del 10 luglio 2018 della Task Force on Subsidiarity and Proportionality incaricata dalla Commissione Juncker).

 

*Professoressa Associata di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Brescia

 

 

Ultimi Aggiornamenti