Riflessioni pensando a Valerio
Dopo il “no” al referendum abrogativo su quel che resta della Legge Calderoli: facciamo il punto
Marco Ladu*
Nella giornata di ieri, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo sulla legge n. 86 del 26 giugno 2024, nota come “legge Calderoli”, adottata in attuazione dell’articolo 116, comma terzo della Costituzione e relativa, pertanto, all’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. La decisione della Consulta è arrivata a seguito dell’esito positivo del controllo di legittimità svolto dell’Ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di cassazione (ordinanza n. 13 del 12 dicembre 2024) e, soprattutto, a seguito della precedente decisione della Corte costituzionale del 14 novembre 2024 – sentenza n. 192 – con la quale la Consulta ha dichiarato, nel suo complesso, la legge Calderoli conforme a Costituzione, pur censurandone alcuni aspetti specifici, da un lato dichiarando illegittime sotto il profilo costituzionale alcune disposizioni e, dall’altro, interpretandone altre in senso costituzionalmente conforme.
Il quesito referendario è stato giudicato inammissibile per la mancanza di chiarezza nell’oggetto e nelle finalità, ritenute insufficienti a garantire una scelta consapevole da parte degli elettori. Inoltre, secondo la Corte, il referendum avrebbe trasformato la consultazione in una decisione senza mediazioni sulla portata generale dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, una scelta che dovrebbe essere affrontata solo sul piano della revisione costituzionale.
Innegabilmente, però, la già menzionata sentenza n. 192 del 2024, che aveva affrontato nel dettaglio la compatibilità della “legge Calderoli” con i principi fondamentali della Costituzione, ha finito per tracciare un quadro di riferimento che ora condiziona nettamente non solo gli sviluppi legislativi, ma anche lo stesso dibattito politico-istituzionale sull’autonomia differenziata. In quell’occasione, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata contro l’intera legge, sottolineando che l’art. 116, terzo comma, deve essere interpretato alla luce del contesto complessivo della forma di Stato italiana, che coniuga il ruolo delle Regioni con i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà territoriale, dell’eguaglianza e della tutela dei diritti fondamentali. Tuttavia, la Consulta aveva ravvisato l’illegittimità di alcune disposizioni specifiche della legge, tra cui:
- il trasferimento di intere materie o ambiti di materie, anziché di specifiche funzioni legislative e amministrative, come richiesto dal principio di sussidiarietà;
- la delega legislativa sui LEP (livelli essenziali delle prestazioni) priva di criteri direttivi, che limitava il ruolo del Parlamento a favore del Governo;
- l’attribuzione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di competenze rilevanti come l’aggiornamento dei LEP;
- la modifica delle aliquote di compartecipazione al gettito erariale mediante decreto interministeriale, che avrebbe potuto premiare le Regioni inefficienti;
- l’estensione impropria della legge alle Regioni a statuto speciale, che devono seguire le differenti procedure previste dai propri statuti approvati con legge costituzionale.
La sentenza aveva anche interpretato in modo conforme alla Costituzione alcune previsioni della legge, precisando che la legge di differenziazione non è riservata al solo Governo, ma richiede il pieno coinvolgimento del Parlamento con potere di emendamento, e che il finanziamento delle funzioni trasferite deve avvenire sulla base di costi standard, non della spesa storica.
La decisione odierna della Corte costituzionale, dichiarando inammissibile il referendum, chiude temporaneamente la strada alla consultazione popolare e riporta il confronto politico-istituzionale nell’alveo delle riforme parlamentari. Il tema dell’autonomia differenziata, oggetto di decenni di aspre polemiche, resta al centro di un dibattito che tocca nodi cruciali come la coesione territoriale, l’efficienza amministrativa e il principio di uguaglianza tra i cittadini. Ed è anche una strada per rafforzare, laddove ce ne siano le condizioni non solo economiche ma di effettiva capacità amministrativa, il ruolo politico dell’Ente regionale consentendo il “ritiro” dello Stato centrale da ambiti e, appunto, funzioni che vengono direttamente “governati” dai territori più vicini alla popolazione coinvolta.
*Professore associato di diritto pubblico presso E-Campus