di Emanuele Ranci Ortigosa
Il 14 maggio ci ha lasciati Valerio Onida, giurista appassionato alla comprensione e piena attuazione della nostra Costituzione; docente impegnato a formare allievi, collaboratori e infine magistrati nella Scuola superiore della magistratura di cui fu fautore e primo presidente; giudice delle leggi e poi presidente della Corte Costituzionale; consulente per i detenuti più indifesi alla ricerca di un giusto processo; cultore della resistenza e dei suoi valori come presidente di istituti storici a questo dedicati. Numerosi articoli sui quotidiani e una folta schiera di partecipazioni al lutto evidenziano la grande stima, e anche l’affetto, di cui godeva.
Dall’ annuncio della sua famiglia riprendo su di lui parole significative, vere: “una vita trascorsa fino allo stremo delle forze ad insegnare con passione e determinazione i valori della libera e pacifica convivenza tra le persone e i valori della nostra Costituzione democratica…. Maestro di umiltà, semplicità e tolleranza, sempre dalla parte dei più deboli qualunque sia stato il ruolo rivestito”. Suo fratello Fabrizio scrive: “maestro di scienza giuridica rigorosa lungimirante, autenticamente democratico, uomo di fede adulta assetata di giustizia, vicino ai deboli”.
I giornali hanno pubblicato articoli, interviste, biografie. Fra i primi mi ha colpito e voglio riprendere quello di Marta Cartabia su la Repubblica, lucido e insieme oserei dire appassionato, che così lo descrive: “Un maestro non convenzionale, con un pensiero non convenzionale, sempre all’avanguardia, sempre aperto, sempre pronto a misurarsi con le sfide della storia, sempre creativo e audace. La giustizia costituzionale, l’integrazione europea, la dimensione internazionale dei diritti umani, il carcere, la giustizia riparativa sono alcune delle direzioni del suo variegato impegno verso cui anche io ho avuto il privilegio di dirigere i miei passi, tenendo dietro «coi piedi alle sue orme» (Pg XII 116)”. E prosegue: ”Il lavoro accademico con lui non era mai semplicemente fine a sé stesso. La sua raffinatissima riflessione scientifica e la sua dedizione alla formazione dei più giovani – nell’università e nella scuola della magistratura, che così fortemente ha voluto e realizzato – sono stati sempre accompagnati ad un ardente impegno civico. Ai suoi numerosissimi allievi – e allieve, tante allieve – ha insegnato ad essere così: lavorare sodo con gli studi e con l’insegnamento, senza mai sottrarsi all’impegno nelle istituzioni e nel dibattito pubblico, per diffondere e difende i valori della Costituzione”. Non si potrebbe dire meglio.
I giornali e le trasmissioni hanno ricordato i suoi prestigiosi riconoscimenti e incarichi, mai ricercati e sempre svolti come servizi alle istituzioni, alla comunità, alle persone. Per parte mia voglio ricordare un sentiero parallelo, che insieme, e anche con altri, abbiamo percorso, lungo l’arco delle nostre esistenze. Risalgo agli anni ’60 e ’70 dell’università di giurisprudenza, della Fuci, della rivista Relazioni Sociali, agli anni ’80 della fondazione dell’Irs di cui è tuttora socio e, fino a questi ultimi anni, alla collaborazione a Prospettive Sociali e Sanitarie e a Welforum. Da quando, conclusa le presidenza della Corte Costituzionale, è rientrato a Milano, il suo studio, è stato a fianco dell’Irs, con una vicinanza che ha favorito rapporti continui. La nostra è stata una lunga sincera profonda amicizia, di cui ci siamo da poco a vicenda ringraziati, che ha coinvolto aspetti e passaggi personali, culturali, religiosi, politici delle nostre esistenze. Arrivederci, Valerio.