di Alessandra Dal Moro
Se n’è andato Valerio Onida. Un uomo raro, specie nel campo degli uomini colti e dei giuristi, che dava l’idea di aver studiato e di continuare a studiare per capire più che per insegnare, pur avendo, proprio per questo, da professore ma anche al di fuori dell’Università, una grande capacità di comunicare, di trasmettere. Di insegnare testimoniando.
Era un costituzionalista di grande raffinatezza, che credeva profondamente in quell’idea del diritto che “protegge”, nella nostra Costituzione, che difese contro i tentativi di riformare, e nella sua funzione di fonte e presidio dei diritti.
Dei diritti dei deboli soprattutto, che non credo mai neppure percepisse come “ultimi”, come spesso si suole dire, perché nella sua coscienza di cattolico autentico, erano presenti come gli altri, con la stessa dignità di tutti. Ed anche se viene spontaneo definirla “umiltà”, a me sembrava più mitezza, rispetto di se stesso e amore per le persone, ciò che lo aveva spinto dopo la fine del mandato costituzionale (concluso con il ruolo di Presidente), a fare volontariato al carcere di Bollate per aiutare i detenuti a tutelare i loro diritti; o che lo induceva a mischiarsi ai giovani magistrati in tirocinio alla Scuola Superiore della Magistratura, di cui fu presidente nel primo Direttivo, con la naturalezza e la curiosità dei maestri che amano i loro allievi.
In quegli anni alla Scuola cercò di aprire il più possibile la formazione dei magistrati ai saperi esterni, perché la tutela dei diritti si nutre della cultura, della curiosità di sapere, del rispetto delle altre discipline. E in questa prospettiva, da ultimo, quasi alla fine del mandato, volle inserire un corso sulla giustizia riparativa, in cui credeva profondamente; che non fosse, però, solo la lezione frontale su astratti concetti, ma anche la testimonianza viva di un gruppo di persone che aveva fatto un’esperienza lunga, seria e dolorosa di incontro e di riparazione: ex appartenenti alla lotta armata, vittime di quelle scelte tragiche, i mediatori che avevano accompagnato quell’incontro e quel percorso.
Fu una scelta “scandalosa”, che provocò reazioni indignate, anche del Comitato di presidenza del CSM di allora, e che portò il nuovo Direttivo della Scuola, a confermare il corso ma senza la partecipazione dei testimoni. In seguito quello stesso Direttivo, come l’attuale, decisero, tuttavia, che la Scuola partecipasse come partner ad un progetto europeo sulla formazione della magistratura alla giustizia riparativa, che si è concluso il 14 marzo scorso a Milano, con un convegno cui anche Valerio Onida, già molto sofferente, non fece mancare il proprio contributo
Io lo conobbi proprio per quell’esperienza di “Incontro”, che divenne, poi, una storia raccontata in un libro, cui partecipammo insieme e con altri (io per la mia minuscola esperienza di mediazione penale al Tribunale per i minorenni di Milano) in qualità di “garanti” del percorso mediativo.
Scrive in quel libro Valerio: “Una giustizia che non si fermi all’accertamento dei fatti e delle responsabilità né all’arido conteggio delle sanzioni e dei risarcimenti, e nemmeno all’esteriorità di proclamati pentimenti e perdoni (o non perdoni), ma riesca in qualche modo a “riparare” il tessuto personale e sociale lacerato, e a migliorare il futuro di tutti, è un ideale tanto impegnativo quanto ambizioso, a cui però non possiamo rinunciare se della “giustizia” vogliamo continuare ad avere, a coltivare e a promuovere un’idea degna del senso ultimo dell’essere umano”.
Un’eredità grande per tutti coloro che amano la giustizia e credono nell’Uomo.
14 maggio 2022