
Riflessioni ad alta voce
No, Trump non rappresenta (al meglio) gli Stati Uniti
Antonio D’Andrea*
La democrazia americana attraverso le immagini del colloquio, se così può definirsi, nello studio ovale della Casa Bianca tra il Presidente Trump e il suo omologo ucraino Zelensky, ha dato di sé la rappresentazione, nella sua plastica brutalità, della involuzione (forse si potrebbe parlare di crisi in senso ampio sebbene non ancora tecnico-giuridico), nella quale sembra sprofondata la sua anima originaria che, nel mondo occidentale, l’aveva caratterizzata sino a farla considerare un esempio paradigmatico di democrazia “classica”. Da Grande Potenza dichiaratamente schierata dalla parte dei popoli oppressi da regimi autoritari, sostenuti generosamente e non solo in armi, abbiamo potuto apprezzare come, al di là delle parole, prima pronunciate e poi ritratte in una sequela di post e dichiarazioni para-formali, il rieletto Presidente Trump abbia non solo rivendicato senza mezzi termini la restituzione delle somme devolute per contribuire in modo assolutamente decisivo alla difesa armata dell’Ucraina, ma ben lungi dal solidarizzare con tale Paese aggredito dalla Russia di Putin, piuttosto dimostrato di compiacere il regime di Mosca, sbattendo “fuori di casa” il leader ucraino, dopo averlo aggredito verbalmente con il supporto del suo vice Vance. Uno spettacolo probabilmente preparato e da offrire al mondo intero avente come copione scritto la preordinata umiliazione del povero Zelensky, zittito ogni qualvolta provava ad articolare un discorso, poiché considerato – è evidente da tempo – il vero ostacolo per la fine della guerra e il raggiungimento della pace con la Russia di Putin oramai insediatasi, dopo l’annessione della Crimea, a seguito dell’ulteriore invasione avviata tre anni fa in qualche regione strategica del territorio ucraino.
Si dirà ovviamente che quella di Trump è, in fondo, una presa di posizione decisa e se non giusta, realistica perché è impensabile che possa cessare quella guerra sul campo in modo tale da ritornare all’integrità dell’Ucraina; si dirà che aver trascinato la guerra sino a questo punto di non ritorno, al netto delle azioni promosse da Putin che poggiano sull’uso brutale della forza e della stessa minaccia dell’arma nucleare, è comunque una grave responsabilità assunta dallo stesso Zelensky e dagli alleati europei che hanno continuato a sostenerlo, dopo l’invasione del febbraio 2022, con armi e tecnologia militare, congiuntamente alla precedente amministrazione statunitense guidata da Biden. Si dirà che l’Europa e il già richiesto ingresso dell’Ucraina
addirittura nella Nato ha probabilmente e ingenuamente illuso gli ucraini che tutto ciò avrebbe potuto aiutarli “a vincere” almeno questa guerra sconfiggendo sul terreno militare l’invasore russo e, ancor più, si continuerà ad insistere come nessuno e tantomeno l’Unione Europea abbia lavorato efficacemente per arrivare alla pace. Si dirà in sostanza che Trump con modi rudi abbia messo il leader ucraino (e la stessa Europa) di fronte alle sue oggettive responsabilità e che,
finalmente, una Grande Potenza occidentale si preoccupi di ottenere la pace, non importa quanto giusta e ragionevole per l’Ucraina, scongiurando responsabilmente ulteriori possibili degenerazioni della guerra. Si eviterebbe così lo scenario drammatico evocato spesso da Putin addirittura di un
terzo conflitto mondiale con il possibile impiego di arma di distruzione di massa, cioè l’apocalisse per il globo!
Si diranno dunque ancora tante cose sul conflitto in questione e su come farlo cessare nell’interesse della sopravvivenza dell’umanità e tuttavia una appare preliminare al netto di ogni
altra considerazione a proposito dello sciovinismo trumpiano in aderenza sostanziale al putinismo d’assalto: il Governo federale statunitense, con il suo, al momento, incontrastato leader, si prepara ad esprimere e lavora alacremente in favore di una politica estera non solo dichiaratamente antieuropea (e ciò per ragioni prettamente economico-affaristico) ma sganciata persino dalla formale adesione ai valori della tendenziale democrazia occidentale smentendo così i tradizionali principi di fondo di quell’ordinamento, tra cui la difesa della volontà di un popolo di aderire a quella tradizione della quale gli Stati Uniti sono una componente storica e in nome della quale hanno teorizzato e in fondo imposto alle stesse Nazioni Unite la discutibile teoria della c.d. guerra giusta! Continuiamo a pensare che non sarà facile per Trump trasfigurare la secolare democrazia statunitense e che in qualche modo i contropoteri previsti dalla Costituzione sin dal 1787 si metteranno, piano piano, in moto impedendogli di concentrare su di sé tutto l’indirizzo politico al di fuori di qualsiasi controllo non solo giurisdizionale. Tuttavia resta come un’onta la faccia truce di Trump e il suo eloquio spiccio e poco rispettoso della persona che aveva di fronte e che era venuto a fargli visita e a chiedergli aiuto nel nome del suo Paese che è in guerra con la Russia da almeno quattordici, lunghissimi anni senza che nessuno abbia ritenuto di dire una parola sul punto. Faccia ed eloquio di Trump sono sembrati davvero quelli di un tycoon consapevole dei “propri averi” messo di fronte ad un questuante fastidioso privo di mezzi e non del tutto consapevole della regola elementare per iniziare a trattare “affari” da concludere insieme, vale a dire: di quali “carte” puoi disporre! Avrà pure ottenuto voti e consensi sufficienti per insediarsi alla Casa Bianca ma il suo comportamento non solo è stato inappropriato sotto il profilo protocollare ma ha reso evidente che il mondo, a partire dall’Occidente europeo, si trova a dover fare i conti con un potente Capo di Stato arrogante e privo di buone maniere, almeno quelle necessarie per guidare un qualsiasi Stato neppure necessariamente democratico.
Certi personaggi sono davvero “dentro” quel che sembrano da “fuori”; gli Stati Uniti sono stati e sono sicuramente un’altra cosa rispetto al trumpismo e sapranno dimostrarlo, riscattandosi per
questa scelta poco felice e peraltro reiterata anche per inconsistenza e sottovalutazione di altri improbabili competitor, dotati sicuramente di più stile ma fortemente osteggiati dagli elettori, il che, alla fine, resta il fattore decisivo per vincere o perdere le elezioni. Nelle democrazie occidentali.
*Professore ordinario in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Brescia