Riflessioni pensando a Valerio
Da Roosevelt a Trump: alla ricerca della libertà oltre i confini
Antonio D’Andrea*
Posto che nessuno poteva aver scambiato Trump per Roosevelt e che le parole e l’impostazione oratoria del neo eletto Presidente degli Stati Uniti e, in modo particolare, l’insistenza sui suoi temi “sovranisti” (nel nome della libertà e del benessere del popolo americano), sono stati evidentemente replicati nella cerimonia di insediamento del suo secondo mandato, qualcosa più di stantio, vecchio, primordiale che di inquietante è sorprendentemente emerso nella scontata ritualità di quell’evento. Qualcosa che non è tuttavia addebitabile alla nota spettacolarità del giuramento e al passaggio di consegne tra il Presidente entrante e quello uscente quanto piuttosto all’interpretazione trumpiana della investitura di sé stesso quale Capo di Governo cui sarebbero affidati compiti storici per il destino di una grande Nazione da riportare agli allori che furono, lasciandosi alle spalle le nefandezze gestionali e morali di un recente passato indegno e corrotto. Un Capo che naturalmente sapeva di parlare non solo al suo Paese, distribuendo fendenti verbali senza alcuna cautela formale neppure nei confronti di colui il quale – il suo predecessore – era lì accanto tenuto ad ascoltarlo, ma al mondo da una posizione dominante e con toni minacciosi e, dato il contesto, paradossali. Dunque Trump ha inteso manifestarsi per come lui in effetti ha sempre mostrato di percepirsi come una sorta di “padrone” del globo e distributore di giustizia universale essendo stato investito da Dio stesso, dopo avergli salvato la vita in occasione del fallito attentato, di questa salvifica missione. In altri termini, il padrone del bene che ha, alla fine, sconfitto il male. Comunque sia una rappresentazione inquietante in un contesto istituzionale che non restituisce affatto la giusta descrizione di un ordinamento nato, alla fine del XVI Secolo, intorno all’idea di secedere da un Monarca vero e proprio avvertito come un insopportabile despota per ottenere un “monarca elettivo”, appunto un Presidente, i cui poteri di governo, in un contesto oltretutto federale, vengono contenuti, da altri distinti organi costituzionali. No, la risalente, secolare democrazia costituzionale nordamericana, non si banalizza con i proclami di Trump e sarà in grado, a prescindere da una consonante, almeno al momento, maggioranza del Congresso, di contenere gli spasmi di oscurantismo culturale spacciati come volere dell’intero popolo americano e come conquista di nuove frontiere, dal canale di Panama, al Golfo del Messico sino alla conquista di Marte! Non sarà probabilmente una stagione facile e non solo per gli Stati Uniti ma del resto è così, dolorosamente, nel mondo e negli stessi Paesi di c.d. democrazia classica, dapprima del nuovo, annunciato successo elettorale di Trump. Di questo successo occorrerà analizzarne la scaturigine, senza troppi imbarazzi, ammettendo inadeguatezza, arroganza e sottovalutazione di aspetti rivelatisi decisivi. E tuttavia bisogna credere senza titubanza che “andrà tutto bene”: la democrazia così come teorizzata e realizzata dalla rivoluzione americana in avanti, tra alti e bassi e pur con errori persino tragici che hanno coinvolto in pieno il cuore dell’Occidente europeo, ha già mostrato di sapere fare ammenda dei propri sbagli e sarà eventualmente in grado di resistere e anche rilanciarsi. Ce lo ha ricordato Franklin D. Roosevelt il 6 gennaio 1941 con un formidabile, insuperabile discorso al Congresso americano sulle quattro libertà (di espressione, di religione, dal bisogno, dalla paura) da riconoscersi ovunque nel mondo! Da qui si (ri)parte comunque, anywhere in the word.
* Professore ordinario in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Brescia