In questa sezione sono pubblicate, una volta ammesse dalla Corte, le opinioni redatte dall’Associazione, a beneficio di tutti gli interessati

A DIFESA DEI DIRITTI DEI FIGLI DI GENITORI DELLO STESSO SESSO

Novembre 13, 2024

L’Associazione “Passione civile con Valerio Onida” interviene come amicus curiae nel giudizio innanzi alla Corte Costituzionale in tema di diritti dei figli di genitori dello stesso sesso.

2 settembre 2024

ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE

OPINIONE EX ART. 6 N.I.G. DINNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE

Per l’Associazione “Passione civile con Valerio Onida”, C.F. 97971880154, con sede in Milano, in persona del legale rappresentante, dott. Marco Luca Onida, assistita, ai fini della redazione della presente opinione, dal Prof. Antonio D’Andrea (socio fondatore, presidente della commissione culturale), dalla Prof.ssa Arianna Carminati e dall’Avv. Prof. Alessandro Lauro, del foro di Brescia (soci ordinari)

IN RELAZIONE A

Reg. Ord. n. 148  (G.U. 21/8/2024 n. 34), ord. del Tribunale di Lucca del 26/6/2024

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  1. SOGGETTO PRESENTATORE

L’Associazione “Passione civile con Valerio Onida”, senza fini di lucro, è stata istituita per «contribuire a diffondere e riflettere sulla dottrina e sull’impegno civile del professore Valerio Onida, costituzionalista, promuovendo dibattiti e occasioni di incontri aperti, coinvolgendo giovani e studenti di ogni grado di studio e in generale la comunità civile. Essa si avvale dell’’ausilio di studiosi delle scienze sociali e umane, intellettuali, politici e amici che si riconoscono nell’esempio di Valerio Onida. al fine di contribuire a preservare la cultura democratica espressa dalla Costituzione repubblicana del 1948, e le sue implicazioni interne e internazionalistiche in favore sia della giustizia sociale, sia della protezione universale dei diritti delle persone più deboli e sfavorite nella loro condizione esistenziale (non solo economica), nella direzione obbligata, paziente ma ferma, della pace e della tolleranza reciproca tra uomini e Stati» (art. 3 dello Statuto).

Nel perseguire la propria missione, l’Associazione ritiene opportuno offrire, proprio alla giurisdizione costituzionale che fu presieduta da Valerio Onida, elementi utili di riflessione per proseguire nell’impegno di promuovere una cultura costituzionale inclusiva, attenta soprattutto a coloro che si trovano in situazioni di particolare svantaggio e che costituiscono una “minoranza” nella società e nelle istituzioni, in posizione di subalternità rispetto ad una “maggioranza” capace di imporre le proprie regole. Per questa ragione, la questione di legittimità costituzionale – di cui subito si dirà – appare meritevole di attenzione e di una presa di posizione attiva e costruttiva da parte della scrivente Associazione. Peraltro, la questione è sollevata in riferimento a parametri non esclusivamente domestici, a riprova dell’apertura internazionalistica della Carta costituzionale all’evoluzione dei diritti fondamentali provenienti dal diritto internazionale pattizio cui l’Italia si vincola: una tematica che, come emerge dallo Statuto, è stata al cuore della riflessione e dell’impegno di Valerio Onida e che oggi impegna l’Associazione che porta avanti il suo ricordo.

  1. LA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE SOLLEVATA DAL TRIBUNALE DI LUCCA

Il giudice rimettente dubita della costituzionalità degli artt. 8 e 9 della legge n. 40/2004 e dell’art. 250 c.c. nella parte in cui, unitariamente interpretati, «impediscono l’attribuzione al nato nell’ambito di un  progetto di procreazione medicalmente assistita  eterologa  praticata  da  un coppia di donne l’attribuzione dello status  di  figlio  riconosciuto anche  dalla  c.d.  madre  intenzionale  che,  insieme   alla   madre biologica, abbia prestato il consenso  alla  pratica  fecondativa  e, comunque, laddove impongono la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale».

La questione è sollevata in riferimento a parametri costituzionali interni (artt. 2, 3, 30 e 31 Cost.), nonché a parametri interposti richiamati tramite il rinvio operato dall’art. 117, comma primo, Cost. ai vincoli internazionali. In particolare:

– artt. 8 e 14 della CEDU

– art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea

– artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20  novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 176/1991

– artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996 e ratificata dall’Italia con legge 77/2003.

  1. SULL’AMMISSIBILITÀ DELLA Q.L.C.

La q.l.c. appare pacificamente ammissibile rispetto ai requisiti processuali elaborati dalla giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte.

Pacifico appare il requisito della rilevanza: come argomenta il giudice rimettente, le norme in questione non possono che rientrare nell’iter logico-argomentativo che questi è chiamato a sviluppare nel rendere la sua decisione (cfr. da ultimo sent. n. 25 del 2023). In più, è evidente che il ricorso avanzato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca per la rettificazione dell’iscrizione dell’atto di nascita che riconosce la genitorialità di entrambe le madri, in assenza di una caducazione delle norme indubbiate, dovrebbe venire accolto: a questo proposito, il giudice a quo ricorda che solo un orientamento minoritario della giurisprudenza di merito, mai avallato dalla Corte di Cassazione, ha rigettato ricorsi del tutto assimilabili a quello di causa sul presupposto che non rientrerebbero nell’alveo di applicazione dell’art. 95 del DPR 3 novembre 2000, n. 396. Dunque, attenendosi alla giurisprudenza di legittimità, il giudice si vedrebbe obbligato a ritenere il ricorso ammissibile e, di conseguenza, fondato, poiché lo strumento per consacrare il legame parentale tra figlio nato da procreazione medicalmente assistita (PMA) e genitore intenzionale è solo quello dell’adozione in casi speciali.

L’unica causa di eventuale inammissibilità della q.l.c. attiene all’ampiezza del margine discrezionale del legislatore, con riguardo all’intervento domandato a codesto giudice costituzionale, come avvenuto nel caso della sent. n. 32 del 2021 e,  prima ancora, della n. 230 del 2020.

Si tratta, tuttavia, di un esito processuale che – a prescindere dal nomen – attiene invero al merito della controversia, che, come si dirà, induce a ritenere ormai esaurito il tempo in cui il legislatore poteva senza censure attendere di intervenire.

  1. SULLA FONDATEZZA: IN PARTICOLARE, SULLA VOLONTARIA INERZIA DEL LEGISLATORE

L’ordinanza di rimessione riproduce, nella sostanza, la questione decisa dalla Corte con sent. n. 32 del 2021. Identiche sono le norme della cui costituzionalità si dubita e sono in gran parte identici i parametri di costituzionalità invocati, salva l’indicazione nell’odierna controversia di ulteriori testi internazionali, aventi piena efficacia in Italia, che tutelano diritti fondamentali dei minori rilevanti nel caso di specie (si tratta della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione  europea  sull’esercizio  dei  diritti   dei   fanciulli).

La sent. n. 32/2021 si concludeva, pur nella decisione di inammissibilità, con un accorato appello al legislatore chiamato «al più presto [a] colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori. Si auspica una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale» (punto 2.4.1.4 Cons. Dir.).

Nella perdurante inerzia del legislatore, il Tribunale di Lucca ha scelto di adire nuovamente la Corte costituzionale, per porre rimedio a quello che la stessa sent. n. 32 definiva come un «vuoto di tutela dell’interesse del minore, che ha pieno riscontro nei richiamati principi costituzionali».

È d’uopo ricordare che, in punto di principio, la medesima questione della tutela del legame fra figlio nato da PMA e madre intenzionale era stata affrontata dalla Corte nella sent. n. 230 del 2020, sebbene le norme censurate allora fossero diverse (si trattava dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 e dell’art. 29, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396). In quel caso, la decisione di inammissibilità fu pronunciata per la natura manipolativa del petitum e per la connessa discrezionalità legislativa nella materia. Ferma restando l’ipotesi residuale della c.d. “adozione non legittimante” (su cui è intervenuta codesta Corte con sent. n. 79 del 2022 per estendere il vincolo di parentela fra l’adottato e i parenti dell’adottante), la sent. n. 230 segnalò, in chiusura, che «una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale, è ben possibile, ma le forme per attuarla attengono, ancora una volta, al piano delle opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore».

Un anno dopo, la sent. n. 32 affina la prospettiva, ritenendo che il divario tra realtà fattuale e realtà legale è tale da costituire un vero e proprio vulnus ai diritti fondamentali del figlio nato da PMA.

Non sembra opportuno ripercorrere qui i motivi che rendono l’impossibilità di riconoscimento del legame di filiazione con la madre intenzionale illegittima rispetto ai singoli parametri: si tratta di operazione già svolta con dovizia di argomenti dal giudice rimettente e da codesta Corte nella sent. n. 32 del 2021.

Quindi, dando per assodato che tale vulnus non è venuto meno nel lasso di tempo trascorso, il vero punctum dolens che codesto Giudice è chiamato a valutare è se l’inerzia del legislatore sia ormai divenuta insopportabile rispetto ai principi costituzionali ed ai valori in gioco.

Ad avviso della scrivente la risposta è affermativa e ciò è provato anche dall’(in)attività che si registra sul tema in Parlamento nella corrente legislatura.

Dalle banche dati parlamentari, emerge che nella XIX legislatura sono depositati 5 disegni di legge concernenti la filiazione omogenitoriale[1], ai quali si aggiungono altri progetti concernenti il “matrimonio egualitario”, ovvero la piena equiparazione fra coppie eterosessuali e omosessuali rispetto al regime matrimoniale (inclusa la disciplina della filiazione)[2].

È da notare che l’integralità di questi atti proviene da parlamentari appartenenti a gruppi di opposizione e il più antico di questi (S. 130, di iniziativa della senatrice Maiorino) è stato presentato al debutto della legislatura (13 ottobre 2022) ed attualmente risulta assegnato alla Commissione Giustizia in sede referente sin dal 27 dicembre 2022, senza che ne sia mai stato cominciato l’esame.

Lo stesso può dirsi per tutti gli altri: risultano tutti assegnati, ma per nessuno di questi è cominciato l’esame in commissione (peraltro, in taluni casi, in sede non referente, dunque con procedimenti che avrebbero potuto rendere più rapida una presa di posizione da parte della Camera coinvolta)[3].

Pare di solare evidenza – e vi sono varie dichiarazioni che lo testimoniano – che il tema in questione non è al centro degli interessi dell’attuale maggioranza di governo. Anzi, da alcune esternazioni sembra possibile ricavarsi una volontà in senso contrario da parte della medesima maggioranza: a tal proposito è possibile leggere l’interrogazione n. 3-00310 (Gasparri e altri) rivolta alla Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità e svolta oralmente nel question time del 23 marzo 2023 (seduta n. 52 del Senato)[4].

In questo atto parlamentare, gli interroganti (in totale dodici) sottolineano come la situazione dei bambini nati da PMA o da maternità surrogata voluta da coppie omoaffettive non siano sprovvisti di diritti, poiché la loro situazione è del tutto assimilabile a quella di bambini con un genitore solo. Nella sua risposta, la Ministra Roccella (A.S. XIX, resoconto stenografico di seduta n. 52, 23 marzo 2023, p. 31) ha effettivamente confermato che «Una volta riconosciuto il genitore biologicamente legato a sé, il piccolo potrà godere immediatamente di tutti i diritti, dall’assistenza sanitaria all’istruzione, come già accade ad esempio ai bambini non riconosciuti dal padre e cresciuti da madri cosiddette single. È quindi importante ribadire che non c’è nessuna discriminazione nei confronti dei bambini e lo dico proprio perché lei si è riferito alle competenze del mio Ministero, che sono sicuramente contro le discriminazioni. Questa discriminazione sarebbe del resto inaccettabile». In risposta all’intervento del ministro, l’interrogante, senatore Gasparri, ha ribadito: «Non si può però andare oltre le barriere del diritto naturale, per cui il figlio ad ogni costo è una forma di egoismo, che porta alla compravendita di ovociti, alla scelta della donna in cui poi impiantarli, perché le esigenze sono diverse, con uno spirito talvolta quasi razzista nelle scelte che vediamo illustrate in fiere internazionali, che fanno una sorta di tratta delle persone».

In un’intervista, la stessa ministra Roccella ha poi sottolineato che la soluzione esiste già ed è rappresentata dall’adozione in casi particolari, riconosciuta dalla giurisprudenza, ma è possibile ipotizzare una “sanatoria” per i bambini già nati[5], sebbene pare improprio ritenere che si tratti di un fenomeno da “sanare” una tantum perché destinato ad esaurirsi nel tempo.

Queste esternazioni si saldano, a riprova di una volontà legislativa contraria al riconoscimento auspicato dalla Corte nella sent. n. 31 del 2024, con l’approvazione (in prima lettura da parte della Camera e in Commissione al Senato, in data 3 luglio 2024) del d.d.l. S. 824 (Varchi) contenente “norme in contrasto alla surrogazione di maternità”. Ora, pur trattandosi di una pratica diversa dalla PMA eterologa, come dimostrato dall’interrogazione parlamentare sopra riportata, essa è accomunata a quest’ultima dalla caratteristica di poter garantire ad un membro della coppia omoaffettiva una filiazione biologica con l’intervento di un terzo esterno alla coppia. L’orientamento politico dell’attuale maggioranza di governo è dunque nel senso di un disvalore, fino alla sanzione penale, rispetto alla genitorialità omosessuale: fatto salvo il legame biologico fra genitore naturale e figlio, l’altro partner (c.d. genitore intenzionale) non è titolato a rivendicare alcuna relazione giuridicamente rilevante con il nato.

Il problema – messo in evidenza dalla Vostra giurisprudenza e dall’ordinanza di rimessione – è che in gioco non vi è il diritto “ad un figlio ad ogni costo”, ma il diverso diritto di una creatura ormai venuta al mondo di vedere riconosciuti i propri vincoli di affetto e le relazioni di premura con chi, pur non condividendone il patrimonio genetico, di questa si è preso e intende prendersi pienamente cura anche nel prosieguo della vita, a prescindere – e questo è un punto fondamentale – dalle vicissitudini che possano riguardare il rapporto di coppia con il genitore biologico.

Viceversa, la prospettiva politica che sembra oggi prevalente in Parlamento – atteso il fatto che nessuna maggioranza parlamentare, non corrispondente alla maggioranza di governo, sia mai stata verificata, in assenza di voti sul punto – non abbraccia quella che è la prospettiva della giurisprudenza costituzionale, che muove dal minore, dal suo migliore interesse e dalla sua sfera di diritti fondamentali, astraendosi dai modi e dalle situazioni con cui è stato messo al mondo.

La discrezionalità legislativa – cioè politica – incontra i suoi limiti, come da sempre ha ricordato la giurisprudenza costituzionale, nel rispetto della Costituzione, dei suoi principi e valori, soprattutto allorché vengano in rilievo diritti fondamentali della persona umana. Dunque, qualunque prospettiva etico-politica, certo legittima pur nel suo essere “visione di parte” del mondo e dell’esistenza umana, è chiamata a cedere il passo di fronte alla necessità di riconoscere i diritti, soprattutto i diritti di chi è più debole per definizione.

La situazione di fatto sottesa alla questione di legittimità denuncia la precarietà esistenziale e una condizione di doppia vulnerabilità, connessa alla tenera età degli interessati e alla condizione dei genitori (che è pur sempre una condizione di minoranza), che reclama a gran voce protezione nelle trame di una Costituzione pluralista che guarda anzitutto a tutelare qualunque essere umano in quanto tale, a maggior ragione quando si trovi in situazioni di particolare fragilità.

Sul legislatore in primis gravano quei doveri inderogabili (art. 2) che lo sollecitano ad intervenire per rimuovere qualunque ostacolo che impedisca la piena realizzazione della persona (art. 3, comma secondo) e ne riconoscono la piena dignità sociale nel consesso umano (art. 3, comma primo): ostacoli di fatto, ma senza dubbio anche di diritto, che, proprio in quanto tali, invero non dovrebbero esistere, poiché il legislatore può agevolmente eliminarli con la sua attività.

Tutto ciò è rinforzato dagli strumenti internazionali cui l’Italia, con scelta sovrana, si è vincolata e che mirano a garantire, in piena sintonia con i principi fondativi dell’ordine costituzionale repubblicano, la dignità del singolo e a proteggerlo rispetto a soprusi che potrebbero essere compiuti ai suoi danni da una maggioranza cui non appartiene e dallo Stato stesso.

Se il legislatore non corrisponde a questi doveri, è compito della Corte costituzionale censurarne l’inattività, rendendo dunque la Repubblica nel suo complesso ottemperante all’alto compito consegnatole dalla Costituzione al secondo comma del suo art. 3.

Constatata la perdurante inerzia legislativa e a fronte di chiari segnali di un disinteresse – o, meglio, di una chiara volontà negativa di non riempire il vuoto incostituzionale messo in evidenza – codesta Corte non potrà che dare logico seguito all’accorato monito scolpito nella sent. n. 32 del 2021, arrivando alla declaratoria di illegittimità costituzionale richiesta dal Tribunale rimettente.

  1. SULLA NECESSITÀ DI UNA PRONUNCIA DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE PER GARANTIRE L’EGUAGLIANZA SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE

Pare opportuno richiamare all’attenzione di codesto Giudice la fondamentale importanza di una pronuncia di illegittimità costituzionale in parte qua, che consegni una realtà giuridica unificata e chiarificata per tutto il territorio nazionale e per tutti gli interessati.

Come emerge chiaramente anche dall’ordinanza di rimessione, il tema in questione  ha suscitato una varietà di approcci amministrativi e giurisprudenziali altamente diversificati[6], nella sostanziale disattenzione del legislatore parlamentare. Il caso da cui origina la questione, addirittura, evidenzia un comportamento diverso tenuto dalla Procura per i due figli della stessa coppia omoaffettiva: per uno di essi, infatti, nulla si è obiettato rispetto all’iscrizione dell’atto di nascita con l’indicazione di entrambe le madri.

A fronte di questa incertezza, si staglia un panorama altamente frastagliato, dove ad essere gravemente in pericolo è l’uguaglianza formale davanti alla legge.

Per questa ragione, ci si permette di invitare l’Ecc.ma Corte, una volta entrata nel merito, ad adottare una chiara pronuncia di illegittimità costituzionale, evitando possibilità diverse, di natura esegetica, che rendano ancor meno chiara la situazione normativa.

  1. SUL POSSIBILE (MA NON AUSPICABILE) RICORSO AL “METODO CAPPATO”

Nelle considerazioni conclusive, l’ordinanza di rimessione non esclude che codesto Giudice costituzionale replichi anche per il caso di specie il modulo decisionale inaugurato con il celebre caso Cappato (ord. n. 207 del 2018) e costituito da un’ordinanza di “messa in mora” nei confronti del legislatore e di un’eventuale sentenza successiva di accoglimento della questione.

Si tratta di una modalità procedurale ampiamente commentata dalla dottrina, che, da un lato, ha il pregio di dare una estrema possibilità al legislatore rappresentativo di compiere il suo dovere, ma, dall’altro, apre ad una serie di problematiche non ancora del tutto definite, soprattutto nell’applicazione medio tempore delle norme. Peraltro, sin dalla sent. n. 230 del 2020 è sorta la domanda sul perché e sul quando la Corte ritenesse opportuno o meno dare al legislatore l’occasione di occuparsi di temi ad alta sensibilità etica prima di provvedere essa stessa.

La scrivente Associazione non può che invitare la Corte alla consueta prudenza, ribadendo, tuttavia, che il legislatore è avvertito delle problematiche connesse all’odierna q.l.c. almeno sin dal 2020. Ancora, come sopra ricordato, appare piuttosto evidente che non vi sia alcuna reale intenzione a breve termine di porre mano alla normativa concernente la filiazione di coppie omoaffettive, sicché appare altamente improbabile che, quand’anche si ricorresse al “modulo Cappato”, possa arrivare dal legislatore un intervento risolutivo. È opportuno ricordare che in passate decisioni di questo tipo era stata valorizzata l’esistenza di progetti di legge in corso di discussione nei rami del Parlamento (cfr. ord. n. 132 del 2020), nonché l’avanzato stadio di esame parlamentare (cfr. ord. 122 del 2022 sull’ergastolo ostativo), mentre nel caso di specie le proposte sopra richiamate sono sostanzialmente arenate, non essendo considerate prioritarie in sede parlamentare. Anche questo circostanza è un indizio che conferma la chiara volontà negativa di intervento nei sensi auspicati dalla giurisprudenza costituzionale: il che non può che condurre a ritenere superfluo un nuovo  “modulo Cappato”, destinato a sancire un ulteriore fallimento nel “dialogo” fra Corte e legislatore.

***

[1]      Si tratta dei d.d.l. S. 130 (Maiorino e altri); S. 121 (Pirro); C. 587 (Appendino e altri); C. 1050 (Zanella e altri); S. 773 (Cataldi e altri).

[2]      D.D.L. S. 215 (Scalfarotto e altri); C. 958 (Pastorella e altri); S. 1050 (Cucchi e altri).

[3]      Sebbene gli istituti volti a garantire una quota del tempo parlamentare ad argomenti indicati dalle opposizioni (art. 23, comma 6, e art. 24, commi 2 e 3, reg. Cam.; art. 53, comma 3, reg. Sen.) non siano sempre realmente in grado di far emergere le posizioni dei gruppi di minoranza e risultino poco utilizzati dai loro destinatari, ad oggi non risulta che i gruppi parlamentari di opposizione abbiano utilizzato il tempo loro riservato dai regolamenti parlamentari per porre l’attenzione ai plena delle Camere. Ciò forse prova l’ulteriore difficoltà ad affrontare la questione in sede parlamentare.

[4]      Se ne riporta, per comodità di lettura, il testo completo:

«Premesso che:

non è vero, come da qualcuno sostenuto, che i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, se nati    all’estero, non possono essere iscritti all’anagrafe se vengono in Italia, e quindi non abbiano dei diritti, come il     diritto all’assistenza sanitaria, eccetera;

in particolare: se due uomini all’estero ricorrono alla pratica dell’utero in affitto e sono riconosciuti entrambi        padri di un bambino, quando vengono in Italia sarà padre quello il cui cognome compare nel certificato di              nascita del piccolo, e solitamente coincide con il padre biologico; se due donne all’estero ricorrono alla        fecondazione assistita e sono riconosciute entrambe madri di un bambino, quando vengono in Italia sarà               riconosciuta madre quella che ha partorito;

in ogni caso il bambino viene registrato in Italia senza problemi all’anagrafe, con un solo genitore. Ci si chiede        quali sarebbero i diritti negati: il bambino avrà gli stessi diritti di qualsiasi altro bambino con un genitore;

il problema delle trascrizioni sorge perché le coppie di uomini o donne che hanno avuto figli ricorrendo alla     pratica dell’utero in affitto o alla fecondazione assistita eterologa, all’estero, vorrebbero essere riconosciuti        anche in Italia entrambi padri o madri. Vogliono cioè che sia trascritto un atto che in Italia non esiste. E non            vogliono risultare all’anagrafe genitori “single”. Ma in Italia non ci sono diritti negati ai bambini, anche con un    solo genitore: a giudizio degli interroganti la sola idea che con un solo genitore non si possa avere il pediatra è ridicola,

si chiede di sapere quale siano le politiche del Governo in materia, con particolare riguardo alle attività di             competenza del Ministro in indirizzo».

[5]      Cfr. V. Giannoli, Figli di coppie gay, Roccella: “Sanatoria per i già nati”. E Strasburgo boccia il ricorso sulle mancate trascrizioni dei bimbi avuti all’estero con la Gpa: “C’è l’adozione”, in La Repubblica, 22 giugno 2023.

[6]      Non è inutile ricordare che il Ministero dell’Interno ha sentito il bisogno – ancorché con riferimento alla gestazione per altri – di richiamare i prefetti ad una uniforme applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Cassazione nella circolare DAIT n.3 del 19 gennaio 2023: https://dait.interno.gov.it/servizi-demografici/circolari/circolare-dait-n3-del-19-gennaio-2023.

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