Il filo rosso

Riflessioni pensando a Valerio

La riforma costituzionale sulla separazione della carriera dei magistrati e le sue evidenti contraddizioni

Ottobre 4, 2024

Alessandra Mazzola*

Com’è noto, nel corso della XIX Legislatura è all’attenzione delle Camere più d’una proposta di revisione costituzionale. In particolare, anche l’attuale maggioranza di governo intende modificare il Titolo IV, Parte II, della Costituzione al dichiarato scopo di separare le carriere dei magistrati con funzioni giudicanti e requirenti. Tuttavia, il disegno di legge costituzionale A.C. n. 1917, presentato alla Camera dei deputati il 13 giugno 2024 dalla Presidente del Consiglio Meloni e dal Ministro della giustizia Nordio, sembra diretto a fondare due diversi poteri dello Stato.

I promotori della riforma manifestano la volontà di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri per garantire l’imparzialità e l’indipendenza dei primi. Tuttavia, l’impressione è che la proposta di revisione costituzionale non tenga conto del fatto che i Padri costituenti, con tali principi, intendessero anzitutto assicurare l’indipendenza della magistratura ordinaria dal potere politico e in particolare dal Governo (non già dal pubblico ministero).

Questo errore di fondo nella proposta di riforma costituzionale sembra generare diverse contraddizioni. Se si ritiene che l’imparzialità del giudice sia compromessa solo perché appartiene allo stesso ordine del pubblico ministero, allora bisognerebbe anche pensare che il sistema del doppio grado di giudizio possa egualmente mettere a rischio l’indipendenza del giudice-decisore. Secondo questa errata logica di partenza, infatti, i giudici di grado inferiore non possono che essere influenzati da quelli di grado “superiore”, ai quali le parti possono evidentemente fare appello. E questo perché i giudici d’appello si trovano in certa misura a controllare il modo in cui quelli di primo grado valutano le prove e redigono le sentenze, il che comporta che i giudici di primo grado potrebbero sentirsi meno liberi nell’esercizio della propria funzione istituzionale.

Convinti, invece, della necessità di separare le carriere dei magistrati con funzioni giudicanti e requirenti, i sostenitori della riforma si spingono a proporre la formazione di due diversi Consigli Superiori della Magistratura. I membri togati non sarebbero più eletti dai loro colleghi, ma sorteggiati (mentre per i membri laici si prevede un sorteggio “temperato”). Tuttavia, tale metodo di selezione dei membri dei CSM potrebbe indebolire i valori di terzietà e indipendenza nelle relative scelte di autogoverno, finendo solo per “corporativizzare” tali organi, non più in grado di fare dialogare tra loro le due imprescindibili parti pubbliche del processo.

Il disegno di legge costituzionale A.C. n. 1917 intende inoltre abrogare il terzo comma dell’art. 107 Cost., ai sensi del quale «i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni». Questa modifica potrebbe instaurare una sorta di implicita gerarchizzazione tra giudici e pubblici ministeri, fermo il maggior “prestigio” che i promotori della riforma intendono assicurare ai secondi, staccandoli geneticamente dai primi. Ciò potrebbe influenzare, ancorché indirettamente, il significato del principio sancito dall’art. 101, secondo comma, Cost., che stabilisce la soggezione del giudice «soltanto alla legge», dal momento che tale soggetto processuale potrebbe essere indotto in modo più stringente rispetto a quel che accade attualmente a dover rispondere proprio alle indicazioni di carattere interpretativo che provengono dal pubblico ministero.

Il disegno di legge di revisione costituzionale intende, infine, rimodellare l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura trasferendo il potere disciplinare dal Consiglio Superiore della Magistratura a una nuova Alta Corte disciplinare.

Lo scorporo di tale funzione dai “nuovi” CSM rischia in verità di accentuare la natura burocratica di tali organi. Ad avviso del Ministro della Giustizia in carica, il controllo disciplinare (esercitato come ora da una Sezione del Consiglio Superiore della Magistratura), nel corso del tempo, è diventato insoddisfacente poiché, al fine di salvaguardare il prestigio del potere giudiziario, finisce per “sottovalutare” i comportamenti scorretti di giudici e pubblici ministeri. Tuttavia, le decisioni di questa natura assunte dall’organo “di vertice” di un ordine professionale (anche se il CSM è evidentemente qualcosa di più…) sarebbe bene che non prescindano dalla verifica concreta delle modalità operative con le quali si esercita l’attività professionale (si pensi, mutatis mutandis, all’organizzazione di un analogo potere rimesso agli ordini professionali di avvocati, notai, medici ecc.).

Peraltro, la giurisprudenza disciplinare del CSM ha contribuito a chiarire e integrare decisioni amministrative di altra natura riconducibili pur sempre allo stesso organo di autogoverno (ad esempio, i provvedimenti relativi all’organizzazione degli uffici, ai trasferimenti in caso di incompatibilità ambientale, nonché le valutazioni di professionalità e le nomine alla titolarità degli uffici direttivi e semidirettivi). Allo stesso modo, le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura hanno offerto importanti chiavi di lettura per interpretare i provvedimenti amministrativi di tale organo di rilievo costituzionale.

Qualora fosse approvato il disegno di legge costituzionale A.C. n. 1917, oltretutto, non sarebbe più possibile promuovere ricorso contro le sentenze della Sezione disciplinare presso la Corte di Cassazione perché sarebbe istituito un secondo grado di giudizio, ovviamente di merito, all’interno della stessa Alta Corte disciplinare. In questo modo si perderebbe inspiegabilmente la fondamentale funzione svolta con il controllo di legittimità da parte della Corte di Cassazione.

Ma vi è di più, la previsione di un circuito giudiziario tutto interno all’Alta Corte disciplinare e svincolato dai Consigli Superiori della Magistratura potrebbe davvero compromettere i principi di indipendenza e imparzialità che la riforma dice di voler rafforzare. I CSM, quindi, potrebbero diventare organi chiamati a dare esecuzione alle decisioni dell’Alta Corte disciplinare, specialmente quando fossero chiamati ad adottare provvedimenti in alcune delicate materie, quale quella relativa ai trasferimenti e alle promozioni dei magistrati.

La previsione di un solo organo deputato a vigilare sulla responsabilità disciplinare di giudici e pubblici ministeri, infine, sembra contraddire, almeno in parte, la logica della riforma costituzionale, che cerca con ogni mezzo – anche attraverso due differenti concorsi per l’accesso alla funzione – di separare le carriere. Sembrerebbe, forse, più coerente accompagnare tale separazione, oltre che con doppio Consiglio Superiore della Magistratura, con una doppia Alta Corte disciplinare, il che evidentemente aprirebbe altri inconvenienti in tema di armonizzazione/differenziazione della rispettiva giurisprudenza. In definitiva, sarebbe bene ragionare con minore “furore ideologico” e maggiore consapevolezza tecnica quando si toccano aspetti così delicati, qualificanti in modo significativo i caratteri della nostra democrazia e in particolar modo l’indipendenza della magistratura, specie quella inquirente, da forme di surrettizio divisionismo para-professionale.

 

* Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico, Università degli Studi di Brescia.

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