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Post del Comitato Direttivo

Raccontiamola giusta e stiamo attenti: cancellare la legge Calderoli non elimina la c.d. autonomia differenziata!

Agosto 6, 2024

Se anche venisse meno la legge n.86 del 2024, conosciuta come legge Calderoli – spacciata gergalmente come attributiva dell’autonomia differenziata – perché in ipotesi annullata dalla Corte costituzionale (in quanto considerata lesiva delle attribuzioni costituzionali riservate alle Regioni ordinarie come pare ritiene la Regione Puglia) ovvero perché abrogata direttamente dal corpo elettorale (una volta completato favorevolmente l’iter avviatosi con la raccolta delle prescritte firme e/o con le necessarie delibere dei Consigli regionali, ove la Corte accerti l’ammissibilità del referendum), resterebbe in piedi nel nostro ordinamento la possibilità che siano riconosciute alle Regioni ordinarie richiedenti (ovviamente del nord come del centro e del sud) funzioni ulteriori rispetto a quelle loro attualmente spettanti.

La c.d. autonomia differenziata costituisce un principio costituzionale pacificamente in vigore (art.116, terzo comma), da oltre vent’anni, destinato perciò a sopravvivere all’eventuale eliminazione della citata legge ordinaria, votata dalla maggioranza parlamentare di centro-destra senza eccezione alcuna in combinato disposto, come è noto, con il ben più impegnativo “premierato” che apporterebbe una modificazione costituzionale rilevante e che dovrebbe seguire, stando molto a cuore alla Presidente del Consiglio. La legge Calderoli investe invero aspetti procedimentali del tutto preliminari per giungere alle nuove attribuzioni di autonomia legislativa e amministrativa delle Regioni ordinarie nelle materie per le quali naturalmente ciò viene consentito dallo stesso dettato costituzionale. Ma non è di questo tema, quantitativo e qualitativo, che si vuole dire. Sembrerebbe piuttosto buona cosa ricordare a chi legittimamente contesta le norme procedurali varate dal centro-destra –  con la parte leghista apparsa forzatamente esultante  per l’obiettivo raggiunto (che francamente mi parrebbe poca cosa), norme sicuramente poco attente alla posizione costituzionale rispettivamente del Parlamento nazionale e dei Consigli delle Regioni – che in questo caso non è in gioco l’autonomia differenziata in sé e per sé considerata e che, in verità, nessuna delle tre Regioni richiedenti (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) ha sinora ottenuto quel surplus. Occorrerà perché questo sia, il raggiungimento di una intesa, che, nonostante il gran chiacchiericcio di questi anni, è ben lungi dall’essersi realizzata tra lo Stato centrale (non già il solo Governo) e la Regione (non già il solo Presidente dell’Ente), da approvarsi con legge parlamentare a maggioranza assoluta. Il fronte di opposizione non solo politico che  sembra in verità opporsi al principio costituzionale richiamato (che naturalmente, attraverso la procedura di revisione del testo vigente, potrebbe essere abrogato e tolto di mezzo benché la qual cosa non sembrerebbe una buona idea rappresentando un’opportunità di sviluppo autonomistico in chiave anti-centralista che non mette in questione l’unità della Repubblica e la perequazione economica e finanziaria tra le diverse realtà geografiche del Paese), farebbe bene a non illudersi e soprattutto a non alimentare false speranze per la pubblica opinione: se salta la legge Calderoli non salta affatto la possibilità di giungere egualmente in Italia a forme di autonomia differenziata!  Ovviamente sperare ardentemente nel crollo dell’accordo di maggioranza tra la Lega e in particolare Fratelli d’Italia in conseguenza di una bocciatura della legge Calderoli, quale che sia la strada per arrivare a tale risultato, è più che una legittima aspirazione per le forze di opposizione e per buona parte del loro elettorato ma anche questa evenienza non eliminerebbe due questioni cruciali. La prima: è pacifico che l’autonomia degli enti territoriali si nutre della “differenziazione” tra loro ed esalta, in definitiva, la capacità di autogoverno (salvo il potere del “centro” di sostituirsi per qualcuno tra questi nel caso del mancato o corretto esercizio di funzioni loro assegnate). La seconda: ammesso e,  spiace non concesso, che il Governo Meloni cada e si dimetta a causa di un “rivolgimento popolare” contro quella che viene erroneamente considerata la legge matrice in tema di autonomia differenziata, come si mette in piedi, magari dopo il voto, un’alleanza di governo alternativa a quella attualmente in carica destinata a fondarsi, a quel punto, sul rigetto del potenziale costituzionale rimasto intatto a indicare una precisa direzione di marcia per la democrazia italiana che, dopo il Fascismo, ha inventato lo Stato regionale? Il regionalismo è sempre stato un terreno di elezione ideale almeno per buona parte del centro-sinistra italiano e sarebbe bene ricordarlo a chi ha conosciuto solo o prevalentemente suggestioni leghiste di nessuna reale consistenza istituzionale e, di contro, specie al sud, il fallimento dell’autogoverno regionale affidato molto spesso ad una classe politica non adeguata al compito richiesto. Tutto il resto è tattica politica contingente alla quale non è il caso di lasciare campo libero.

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